Ghetti ebraici in Italia

aree delle città italiane in cui erano costretti a risiedere gli ebrei

Numerosi ghetti ebraici furono istituiti in Italia tra il XVI e il XIX secolo nelle città di residenza degli ebrei, secondo i dettami della bolla "Cum nimis absurdum" di papa Paolo IV del 1555. La chiusura dei ghetti avvenne nell'Ottocento come conseguenza del processo di emancipazione degli ebrei italiani.

L'istituzione dei ghetti a partire dal XVI secolo fu limitata al Centro-Nord d'Italia, poiché come conseguenza dei decreti di espulsione non esistevano più all'epoca comunità ebraiche nel Meridione. In alcune realtà locali gli ebrei furono capaci di ritardare (come in Piemonte) o evitare (come a Livorno o a Pisa) l'istituzione del ghetto, o limitarne alcuni degli effetti restrittivi. Fu solo comunque alla fine del Settecento, con la diffusione degli ideali della rivoluzione francese e l'occupazione francese che i ghetti furono progressivamente aboliti. L'emancipazione degli ebrei promossa in Piemonte fin dal 1848 dallo Statuto Albertino divenne legge del nuovo Stato italiano. L'ultimo ghetto ad essere abolito fu quello di Roma nel 1870, all'indomani dell'annessione.

Molti dei ghetti furono abbandonati dalla popolazione ebraica e caddero in una situazione di degrado e abbandono, altri rimasero il centro (non più coatto) della vita della comunità locale. A cavallo tra Ottocento e Novecento molti dei ghetti furono interessati dall'opera di risanamento di cui furono oggetto molti degli antichi centri storici delle città italiane. Alcuni ghetti furono totalmente demoliti (Firenze), in altri casi largamente rimaneggiati con demolizioni e sventramenti (Roma, Mantova). In altri casi il ghetto si è conservato pressoché integro (Venezia).[1]

Oggi è in molti casi ancora possibile riconoscere l'area dei vecchi ghetti, il luogo dove erano collocate le porte, le abitazioni con i loro cortili e passaggi interni, le sinagoghe che di regola dovevano essere nascoste e prive di segni esteriori di riconoscimento. In anni recenti, i ghetti sono diventati una attrazione turistica e sforzi sono stati compiuti da alcune amministrazioni locali per preservarne le tracce rimaste e farne parte fruibile di itinerari turistici. La logica della preservazione della memoria e della conservazione di ambienti anche non monumentali ma di interesse storico sta sostituendosi alla politica dell'abbandono e dell'incuria che specie nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale ha causato perdite inestimabili al patrimonio storico, artistico e culturale italiano. Il termine ghetto deriva dal termine veneziano "fonderia".

I ghetti ebraici in Italia

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L'elenco (incompleto) offre una lista, regione per regione secondo l'ordine di istituzione, dei ghetti ebraici in Italia, con l'anno di apertura e di chiusura definitiva e note sintetiche sul loro attuale stato di preservazione:

Piemonte

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Lombardia

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Friuli-Venezia Giulia

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Emilia-Romagna

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Liguria

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Toscana

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Trentino

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Campania

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Calabria

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  • Giudecca di Nicotera

Sardegna

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Sicilia

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  1. ^ a b Annie Sacerdoti, Guida all'Italia ebraica, Marietti, Genova 1986.
  2. ^ La "Judeca" di Salerno
  3. ^ Storia Civile Della Fedelissima Città di Capua, di Francesco Granata, pagg.320-321
  4. ^ Si faccia attenzione però alla situazione siciliana, giacché tranne il caso dell'anomalia siracusana, in Sicilia gli Ebrei vivevano nelle giudecche, quartieri delle città che con l'espandersi delle stesse si fondeva senza soluzione di continuità, trovandosi anche protette dalle stesse mura urbiche.

Voci correlate

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