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Manto

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Manto nel De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio
Profilo di Mantova

Manto (in greco antico: Μαντώ?, Mantṑ) è una maga, personaggio letterario della mitologia greca.

A lei vengono attribuiti dei figli Anfiloco e Tisifone avuti da Alcmeone[1] ed un altro (Mopso) avuto da Apollo o da Racio, un re della Caria.

Figlia dell'indovino tebano Tiresia[2] dal quale aveva ereditato le capacità magiche e divinatorie, è ricordata da Virgilio (Eneide X, 198-200), da Servio nel suo commento a Virgilio, da Ovidio (Metamorfosi VI, 157 e seguenti) e da Stazio (Thebais, IV 463-466 e VII 758 e seguenti).

A seconda degli autori essa ha diversi connotati. Fu consacrata sacerdotessa di Apollo a Delfi. Per Virgilio fu moglie di Tosco (il mago personificazione del fiume Tevere) e madre di Ocno, leggendario fondatore di Mantova che prese il nome proprio da Manto. Secondo altri autori greci generò Mopso.

In Stazio, dopo la morte del padre durante l'assedio di Tebe, essa iniziò a vagare per molti paesi, prima di fermarsi lungo le rive del Mincio dove creò un lago con le sue lacrime, il lago che circonda Mantova appunto. Queste acque avevano il magico dono di conferire capacità profetiche a chi le beveva.

Dante Alighieri la riprese per includerla tra i dannati dell'Inferno (fraudolenti, ottavo cerchio, quarta bolgia), tra altri indovini mitologici compreso il padre Tiresia (Inf. XX, 52-57).

La sua presenza dà l'occasione al poeta di scrivere una lunga parentesi sulle origini di Mantova, che viene fatta pronunciare da Virgilio stesso. Smentendo se stesso, Dante immagina che egli rettifichi la sua versione dei fatti, circoscrivendo la fondazione a fatti scevri da riti magici: Manto sarebbe morta nel sito dove poi altri uomini, «sanz'altra sorte» cioè senza sortilegi, fondarono la città, scegliendo il nome in onore della donna lì sepolta.

  1. ^ Pseudo-Apollodoro, Biblioteca, III, 7, 7.
  2. ^ Igino, Fabulae, 129.

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