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Costanzo Preve

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Costanzo Preve

Costanzo Preve (1943 – 2013), filosofo e saggista italiano.

Citazioni di Costanzo Preve

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  • Auschwitz non può e non deve essere dimenticato, perché la memoria dei morti innocenti deve essere riscattata, e questo mondo nella sua interezza appartiene a tre tipi di esseri umani: coloro che sono già vissuti, coloro che sono tuttora in vita, e coloro che devono ancora nascere. Ma Auschwitz non deve diventare un simbolo di legittimazione del sionismo, che agita l'accusa di antisemitismo in tutti coloro che non lo accettano radicalmente, e che non sono disposti a derubricare a semplici errori i suoi veri e propri crimini.[1]
  • Chi non ha ancora capito che l'agitare il turibolo sciamanico dei Diritti dell'Uomo è soltanto una protesi ideologica per legittimare un intervento imperiale unilaterale è veramente un caso disperato. Con chi confonde gli angeli con i diavoli non è possibile intraprendere nessun confronto teologico. (da La quarta guerra mondiale, edizioni all'insegna del Veltro, 2008, p. 172)
  • Come tutti gli studiosi di storia e di filosofia, sono attirato dai due estremi complementari della coscienza sociale, la genialità e l'idiozia. E tuttavia l'idiozia è sempre più interessante, anche perché è più divertente. I mezzi di comunicazione di massa ci offrono ogni giorno quantità industriali di idiozia, e con l'arrivo della televisione e dei giornali non c'è neppure bisogno di mescolarsi agli idioti, perché l'idiozia ci viene portata a domicilio in modo semigratuito.[2]
  • Di fronte alla cattiva comunità, la comunità organica, colonialista, espansionista, razzista, persino l'individualismo atomistico sradicato può essere migliore, ed è di fatto migliore. Almeno, lascia la gente nella sua solitudine insensata, ma non ne distrugge gli autonomi progetti di vita, di matrimonio e professionali. (da Elogio del Comunitarismo, p. 215)
  • Di Marx, personalmente, mi interessa conservare soltanto due cose. Come ho detto prima, ed ora ripeto, di Marx conservo soltanto la teoria strutturale dei modi di produzione storici e sociali (che comprende al suo interno la teoria dell'estorsione capitalistica del plusvalore) e la filosofia umanistica ed universalistica rivolta potenzialmente all'intero genere umano e non solo alla sua componente storico-geografica occidentale, il cui statuto però considero di tipo idealistico e non materialistico (o meglio, materialistico solo in senso metaforico).[3]
  • Dopo il Sessantotto la "Sinistra" è diventata l'ala culturale ed artistica marciante di un nuovo capitalismo post-borghese, che ha cancellato la stessa matrice originaria dello stesso comunismo di Marx, e cioè la coscienza infelice (Hegel) della borghesia europea. Dal momento che qualsiasi programma di de-globalizzazione (Lordon, Sapir) implica il rafforzamento del "pubblico", e cioè della sovranità economico-politica dello stato nazionale, la sinistra sicuramente vi si opporrà, dando luogo ad un curioso e funesto gioco delle parti, e cioè la globalizzazione "liberista" a destra e la globalizzazione "anarchica" a sinistra, che marceranno separate, e colpiranno unite qualsiasi programma di liberazione nazionale e sociale, infallibilmente connotato come "populista", ispirato dalla destra eterna[4].
  • [...] ignobili porcherie sul "lavoro fisso noioso", la cui oscenità raggiunge quella di chi mette un affamato in guardia contro i pericoli dell'obesità e del colesterolo.[5]
  • Il comunitarismo è la via maestra che conduce all'universalismo, inteso come campo di confronto fra comunità unite dai caratteri del genere umano, della socialità e della razionalità. (da Elogio del Comunitarismo)
  • Il monoteismo religioso non è pertanto un "nemico" della verità, ma un alleato possibile. È bene notare che questa possibile alleanza non può essere fondata (come molti sostengono) su ragioni di tipo populistico, pauperistico e miserabilistico. La cosiddetta "scelta preferenziale per i poveri", che alcuni considerano il terreno di incontro fra rivoluzionari atei e religiosi, non è che una conseguenza secondaria di qualcosa che le sta alle spalle e che è primario, cioè l'ammissione dell'esistenza della verità. (da Nichilismo Verità Storia, pp. 133-134)
  • Il pensiero unico delle oligarchie finanziarie transnazionali che dominano il pianeta non è di destra né di sinistra, e non è neppure di centro. Se si vuole provvisoriamente mantenere questa obsoleta e fuorviante metafora spaziale, esso è di destra in economia (potere del denaro), di centro in politica (potere del consenso) e di sinistra in cultura (potere dell'innovazione del costume). Lo smantellamento (di sinistra) delle vecchie forme conservatrici delle forme di vita tradizionali borghesi e proletarie, fatto in nome della modernizzazione nichilisticamente permanente, è funzionale ad un allargamento globale del mercato e del connesso potere del denaro che questo comporta (di destra). Questo è il punto essenziale da capire.[1]
  • Il recupero della filosofia significa recupero dello spirito filosofico. Il sistema capitalistico è talmente violento, anche se si presenta apparentemente come tollerante e liberale, che la gente cerca istintivamente il contrario. Lo spirito filosofico risponde a questa esigenza quasi sempre inespressa di conversazione e di comunicazione, che poi è anche il solo possibile antidoto alla perversa dialettica fra rassegnazione apparente e scoppio improvviso di rabbia repressa, che tutti gli osservatori possono riscontrare nei posti di lavoro, nelle discoteche e negli stadi. (da Verità filosofica e critica sociale, p. 78)
  • Il relativismo storico, nella sua battaglia ideologica contro il tradizionalismo, il conservatorismo ed il cosiddetto «pensiero di destra», propugna in generale una concezione prometeica, in cui la malleabilità illimitata della natura umana socialmente condizionata è vista come il prerequisito di una creatività onnilaterale. Ma qui si nasconde un tranello in quanto purtroppo Prometeo e il Grande Fratello abitano nello stesso appartamento. Il presupposto della creatività illimitata è filosoficamente affine, contiguo e omologo al presupposto della manipolazione illimitata. Creatività illimitata e manipolazione illimitata vivono sotto lo stesso tetto. A differenza di come credono ingenuamente i relativisti sociologistici (quelli per cui «la società ha la colpa di tutto»), la sola garanzia contro la possibilità della manipolazione illimitata politica e sociale sta nella resistenza innata della natura umana. (da Individui liberati, comunità solidali, pp. 11-12)
  • [...] il segreto dell'intoccabilità simbolica del sionismo nella cultura occidentale sta proprio nel fatto che nel sionismo viene oggi trasfigurato simbolicamente l'intero imperialismo, legittimato così ex post nel suo doppio aspetto di fondamento biblico-religioso e di risarcimento per la colpa storica di non aver saputo impedire l'antisemitismo (risarcimento scaricato sulle spalle dei popoli arabi ed islamici, in proposito del tutto innocenti sul piano storico e politico). L'imperialismo sa bene che ci deve essere almeno un soggetto sciolto dal contratto simbolico istituente le relazioni internazionali, un soggetto cui è sfrontatamente consentito di fare tutto ciò che agli altri non è consentito, ed il sionismo oggi ricopre questa pericolosa funzione simbolica. È il sionismo a decidere chi è antisemita e chi invece non lo è, e questa decisione viene presa sulla base del consenso alla annessione dei territori palestinesi (e si vedano in proposito i patetici tentativi di Gianfranco Fini di farsi accreditare dal sionismo, che gli pone come condizione non tanto il ripudio storiografico di un passato vecchio ormai di mezzo secolo, quanto l'accettazione razzistica ed imperialistica del diritto dei sionisti di cacciare quanti palestinesi vogliono).[1]
  • La mia tesi di fondo è che Borghesia e Proletariato non sono classi strutturali e permanenti dell'intero corso storico del modo di produzione capitalistico, ma solo classi genetiche, iniziali e provvisorie di esso. Nell'attuale età del capitalismo esse sono nell'essenziale già tramontate, e senza comprendere la dinamica del loro tramonto non è possibile neppure impostare il problema della natura di una crisi culturale. A mio parere siamo infatti oggi in un'età post-borghese e post-proletaria. Ritengo invece di dover usare la dicotomia di Dominanti e Dominati. Mi si potrebbe obbiettare che si tratta di una dicotomia tautologica e generica, che peggiora anziché migliorare la dicotomia precedente. Non lo credo. Non si tratta di fare il giochetto verbale di continuare a chiamare "borghesia" i dominanti capitalisti e "proletariato" i dominati salariati. Si tratta di comprendere che, in mancanza di una credibile terminologia scientifica ammessa da tutti, è meglio fare un passo indietro e limitarci a chiamare Dominanti e Dominati gli agenti storici attivi e passivi della riproduzione sociale complessiva del modo di produzione capitalistico. Almeno ci sottrarremo agli inganni del linguaggio consueto, quelli che Bacone chiamava idola fori.[6]
  • La natura esterna a noi è limitata, perché la terra è rotonda, e non è inesauribile. Allora, se la natura è limitata, ed il capitale è illimitato, ci sarà o non ci sarà una contraddizione fra la natura limitata delle risorse non rinnovabili e la natura illimitata della norma di accumulazione del capitale? Per quanto mi riguarda ho già risposto: possono essermi antipatici i catastrofismi lagnosi, i pauperismi moralisti, eccetera, ma questo non è il punto principale. Il punto principale è che la teoria della decrescita può non essere condivisa, ma è legittima, e l'ecologismo è parimenti legittimo.[7]
  • L'antifascismo è allora attuale? Ma certo che no! L'antifascismo è stato una cosa serissima (cui personalmente aderisco retrospettivamente, nel modo del tutto virtuale in cui aderisco alla causa dei Gracchi contro gli optimates, di Spartaco contro Crasso, dell'ultimo imperatore bizantino contro Maometto II nel 1453 ecc.), ma dopo il 1945 è sopravvissuto come uno zombie come pura e semplice risorsa ideologico-simbolica, e tuttora sopravvive come risorsa dell'impero americano per la sua guerra asimmetrica contro il terrorismo "islamofascista", la baffute dittature fasciocomuniste ecc. Chi è tanto cretino da non averlo ancora capito ci faccia sopra un pensierino, perché – come diceva il titolo di una benemerita trasmissione televisiva per adulti analfabeti – "non è mai troppo tardi". (da La quarta guerra mondiale, pp. 80-81)
  • La religione è un'attività originaria connaturata alla forma antropologica della natura umana, ed ha perciò almeno in parte una natura metastorica, anche se sono sempre storiche le sue forme concrete di manifestazione individuale (significato dell'esistenza singola) e collettive (riti collettivi di identificazione e di autorassicurazione). Dal momento che la religione è un'attività originaria connaturata nella forma antropologica (ed addirittura etologica) della natura umana, prevederne possibile l'estinzione e addirittura auspicarla in nome di una sorta di "ateismo scientifico universale" è un errore, ed anzi qualcosa di più di un errore, un vicolo cieco della filosofia e della politica. (da Verità filosofica e critica sociale, p. 37)
  • La verità è dunque unità di ontologia e di assiologia. I due termini si identificano, e non fanno parte di mondi paralleli che non si incontrano mai, come sostiene ciò che più tardi venne denominata "fallacia naturalistica". La verità di Gesù di Nazareth è tuttora attuale per noi. Oggi bisogna prima di tutto sapere la verità, cioè che le risorse del mondo potrebbero nutrire i suoi abitanti e permettere loro una vita più serena. Questa verità produce immediatamente la sua conseguenza, il fatto cioè che si deve permettere loro una vita più serena. Gesù di Nazareth non voleva "dimostrare" questa verità, ma soltanto "mostrarla". Il carattere filosofico della nostra cultura occidentale ci costringe ad intraprendere il cammino che sta fra il mostrare e il dimostrare. (da Nichilismo Verità Storia, p. 115)
  • La verità filosofica è una sola, ed è il pieno riconoscimento razionale della natura solidale e comunitaria dell'essere umano, considerato universalisticamente nello spazio (geografia) e nel tempo (storia).[8]
  • Le proposte sono tutte irricevibili se il destinatario è irriformabile. (da Storia critica del marxismo, p. 203)
Formulata anche "Se il destinatario è irriformabile ogni innovazione teorica è irricevibile, e viene lasciata cadere" (nel volume "Un secolo di marxismo. Idee e ideologie", p. 100) e "Ogni proposta innovativa è irricevibile se il suo destinatario sociale è irriformabile"[9].
  • L'unione di sostenitori rasati del razzismo biologico con sostenitori barbuti della dittatura del proletariato sarebbe certamente un buon copione di pornografia hard, ma non potrebbe uscire dal piccolo circuito a luci rosse del sottobosco politico[10].
  • L'uomo è un essere sociale, politico e comunitario (il politikòn zoon di Aristotele), è un essere dotato di ragione, linguaggio e capacità di calcolo (lo zoon logon echon sempre di Aristotele), un essere che ha un bisogno incoercibile ed assoluto di riconoscimento, da parte di un altro (Hegel, ma anche Lévinas), un essere generico che progetta la propria configurazione sociale (l'ontologia di Karl Marx), ed infine un animale fortemente simbolico (Cassirer). In questa sommaria elencazione io non ho volutamente inserito presunte tendenze all'accaparramento economico individualistico, alla concorrenza di mercato, ed in generale alla proprietà privata capitalistica fatta passare surrettiziamente per un "diritto naturale". Nella mia personale concezione filosofica, l'uomo non è caratterizzato né dal cosiddetto "dono", come ritiene la scuola francese anti-utilitarista (Mauss, Latouche, eccetera), né dal cosiddetto "mercato" inteso come virtuosa mano invisibile (Hume, Smith, eccetera). L'uomo può adattarsi sia al dono che al mercato. Semplicemente, il dono è preferibile razionalmente al mercato, perché dà luogo ad una configurazione sociale più solidale, da un lato, e meno istericamente orientata alla crescita ecologicamente distruttiva, dall'altro. (da Borghesia e postborghesia nell'era neocapitalista, Italicum, gennaio-febbraio 2006.)
  • Nell'unità di giustizia, eguaglianza e sicurezza è la giustizia a mio avviso il concetto fondamentale. Hanno dunque torto quei marxisti che, sia pure in perfetta buona fede, sostengono che il marxismo non è una teoria della giustizia, perché la distribuzione ineguale del plusvalore e la sua stessa produzione non derivano da scelte distributive ingiuste, ma da meccanismi del tutto indipendenti dall'etica. Se il marxismo vuole sopravvivere deve diventare una teoria della giustizia, anche se a mio avviso non in forma neocontrattualistica o neoutilitaristica. A differenza di come pensava il "ribelle aristocratico" Nietzsche le domande di eguaglianza e di sicurezza non sono affatto in conflitto con la giustizia, ma ne sono anzi degli elementi di specificazione assolutamente organici. Del resto, anche i bambini sanno che negli ultimi duecento anni non si è mai divenuti rivoluzionari dopo aver compreso il meccanismo della teoria del valore di Marx, ma sempre e solo per domanda di senso, richiesta di prospettiva e reazione all'ingiustizia, alla diseguaglianza ed alla insicurezza.[6]
  • Occorre evitare un tipico errore filosofico, in cui cadono tutti gli storicisti: la confusione tra genesi particolare (Genesis) e validità universale (Geltung). L'abolizione della tortura, ad esempio, ha certamente avuto una genesi storica particolaristica, perché la nuova classe borghese, a differenza della vecchia classe feudale, non era più interessata a mantenere l'ordine tagliando a pezzi i corpi dei ribelli, ma era invece interessata a nuove forme di disciplinamento produttivo, modellate sul nuovo sistema di fabbrica (factory system). Da qui, il conseguente "incivilimento" delle pene ed anche il nuovo processo penale, non più inquisitorio, quindi senza tortura, dal momento che non dovevano più esserci schiavi della gleba, ma solo uomini formalmente eguali. Nello stesso tempo, l'abolizione della tortura, pur essendo "borghese" ed avendo così una genesi storica particolare, aveva però anche una validità universale, in quanto si avvicinava maggiormente ad un ideale di umanità civilizzata e pacifica. (da Il popolo al potere, p. 190)
  • Per l'omosessualità distinguerei fra omosessuale e gay, sebbene io sappia che le parole si sovrappongono. Il diritto dell'omosessuale a vivere il suo rapporto socialmente accettato e anche garantito da forme giuridiche di reversibilità testamentarie e altro, per me deve essere sostenuto e bisogna condurre quindi una battaglia culturale anti omofoba. Quanto al gay pride e altre manifestazioni io credo che siano forme di spettacolarizzazione della politica che alla fine provocano inutilmente soltanto reazioni fascistoidi e feroci della parte più ignorante, intollerante e stupida della società. Non la giustifico, naturalmente, ma non vedo perché bisogna provocarla a tutti i costi. Non credo che le manifestazioni tipo gay pride aiutino l'emancipazione degli omosessuali, ma tendono a porre delle specie di show provocatori di tipo anglosassone che sono totalmente incorporate nella società dello spettacolo. Io credo che bisogna avere il coraggio di dire anche questo; la sinistra questo coraggio non ce l'ha perché ha introiettato la paura del politicamente corretto e questo non serve a nessuno.[11]
  • Per poter giungere alla conoscenza veritativa di ciò che è, ed è eternamente, bisogna prima necessariamente cominciare e passare dalla corretta comprensione della natura complessiva del nostro tempo appreso nel pensiero.[12]
  • Se è vero che l'implosione del senso e della prospettiva caratterizza l'attuale terza età del capitalismo, che non solo ha vinto contro le due critiche sociale ed artistica, ma ha stravinto e dunque vinto troppo, allora i giovani sono le prime vittime. I giovani infatti vivono di senso e di prospettiva. Questo fu detto molto bene dai romantici, e da Fichte in particolare. La trasformazione dei giovani in un gruppo consumistico generazionale è effettivamente una preoccupante novità storica. Se gli insegnanti notano nel mondo intero una caduta delle capacità logiche degli studenti, questo è dovuto al fatto che ormai il general intellect capitalistico ha raggiunto un tale livello di incorporazione anonima di conoscenze da avere sempre meno bisogno di una famiglia in cui si parli e di una scuola in cui si ragioni. La questione giovanile è dunque storica e filosofica, non psicologica e pedagogica. I giovani devono tornare ad avere senso e prospettiva. Allora, si vede subito che recuperano d'incanto capacità logiche, espressive ed emozionali.[6]
  • Tutto ciò che il sistema dei media unificato demonizza come populista e razzista deve essere considerato non come buono a priori, ma almeno interessante.[13]

Elogio della filosofia

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La filosofia, o più esattamente la pratica filosofica, è una forma di conoscenza della realtà. Considero uno pseudoproblema, e non voglio intenzionalmente occuparmene in modo teoretico, se essa sia superiore o inferiore alla conoscenza scientifica, religiosa o artistica. Chi si mette in questo orizzonte di tipo gerarchico-topologico a mio avviso parte già con il piede sbagliato.

Citazioni

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  • Insistendo sul fatto che il logos insieme ontologico e dialogico è il solo vero fondamento autosufficiente del pensiero filosofico, e non ve ne sono altri sovraimposti o integrativi, la saggezza greca rifiuta l'ipotesi che vi sia anche una apokalypsis, cioè una rivelazione segreta dei progetti della divinità monoteistica.
  • La modernità, che a mio avviso si costituisce in un processo sostanzialmente unitario da Spinoza a Marx (passando per Kant e per Hegel), è invece caratterizzata da una consapevole ripresa del logos razionale e dialogico autosufficiente (non asservito cioè alla razionalizzazione della teologia monoteistica cristiana, ebraica e musulmana).
  • Il filosofare moderno inizia con un consapevole ritorno allo stile razionale dei greci, con una critica religiosa a tutte le letture irrazionalistiche della Bibbia e con una critica politica a tutte le forme di dispotismo. Sono questi i tre elementi portanti del pensiero di Spinoza.
  • Il concetto scientifico moderno di Materia nasce per la prima volta fra il Seicento ed il Settecento, e non ha dunque una relazione di continuità e di omogeneità con Democrito, Epicuro e Lucrezio.
  • La Scienza, la Materia e la Storia sono le tre principali "novità" (anche se non certo le sole) che la modernità non eredita dal patrimonio della filosofia greca, ma che trova costituite nel suo stesso orizzonte temporale, storico e sociale.
  • In estrema sintesi, io penso che Marx abbia realizzato un vero progresso conoscitivo rispetto ad Hegel sul piano della storia come scienza, cioè sul piano della concettualizzazione dei modi di produzione sociali.
  • In ogni caso la scienza sociale unitaria che Marx cercò di sviluppare e di cui mise le fondamenta epistemologiche (da non confondere ovviamente con il fondamento filosofico) fu quella "nuova scienza" preconizzata a suo tempo più di un secolo prima da Giambattista Vico.
  • Il mondo ridotto a mercato (il "monoteismo del mercato", secondo la corretta formulazione di Roger Garaudy) è appunto un mondo insensato, del tutto abbandonato da Dio, al di là del fatto che stuoli di dignitari religiosi siano spesso presenti alle cerimonie pubbliche in cui troneggiano i capi economici, politici e soprattutto militari del pianeta.

I Secoli Difficili

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Questo saggio è un'introduzione, storica e teorica, alla filosofia contemporanea, con particolare attenzione alla filosofia del Novecento. Si tratta di un'introduzione storica, perché i differenti temi non verranno trattati per "argomenti" (come ad esempio suggerisce la tradizione della filosofia denominata "analitica"), ma seguendo una successione temporale. Ma è anche un'introduzione teorica, perché verrà esplicitamente proposta al lettore una chiave interpretativa complessiva, incentrata sul tema della verità, o più esattamente del rapporto fra verità e filosofia.

Citazioni

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  • Il culto di Marx ha impedito per quasi un secolo un'analisi critica del suo pensiero. Naturalmente, vi era una ragione per spiegare questa follia. Marx doveva essere infallibile in tutte le cose che diceva, perché magicamente la sua infallibilità potesse essere trasmessa e trasferita ai dirigenti politici del movimento comunista burocratizzato. Si tratta di un fenomeno ben noto agli studiosi di storia delle religioni. (p. 77)
  • Il grande nemico della democrazia Nietzsche offre a questa democrazia stessa ed al suo principio livellatore ed uguagliatore l'argomento filosofico ad essa più affine, la riduzione della natura della verità ad infinito gioco delle interpretazioni. Non esiste principio filosofico più adatto al mondo dell'invidia, del risentimento, del livellamento verso il basso, il mondo che Nietzsche afferma a parole di temere: qualunque idiota superficiale ed ignorante potrà dire, con piena legittimità filosofica, che la sua interpretazione non è né migliore né peggiore, ma solo diversa, di una diversità in giudicabile, delle interpretazioni di Spinoza, Hegel o Marx. Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace, e per me la telenovela lacrimosa è meglio di Cervantes o di Stendhal. Il grande martellatore della verità non si accorge di dare grandi martellate sulle proprie dita. La negazione del carattere veritativo della conoscenza filosofica porta ad una vera e propria caricatura dell'"indifferenza" democratica, il carosello delle opinioni arbitrarie elevato a nobile gioco delle interpretazioni. (pp. 92-93)
  • Negli ultimi decenni in Italia è divenuta corrente l'abitudine a discutere se il termine nicciano di Übermensch debba essere tradotto come Superuomo o come Oltreuomo. A questo rispettabile quesito filologico si unisce spesso anche un'inutile e fuorviante diatriba politica, sul fatto cioè che il termine Superuomo è di "destra", mentre il termine Oltreuomo è di "sinistra". Questa diatriba è ideologica, non filosofica. Si tratta di una diatriba interminabile, che rischia di non cogliere mai il centro storico del problema. Infatti Nietzsche, che, come persona, ai suoi tempi era ideologicamente piuttosto di "destra", come filosofo (che è la sola cosa che conta) non è né di destra né di sinistra, in quanto ha di mira soprattutto una critica radicale dell'intera cultura borghese, cui Hegel, aveva a suo tempo conferito un profilo "ideale" non coincidente con il capitalismo e con la sua dimensione economica. In una fase storica in cui il capitalismo si globalizza e si universalizza nel mondo intero, ed è perciò del tutto post-borghese (e post-proletario), la filosofia di Nietzsche non cambia di natura, ma muta di funzione. Quando si trattava di bastonare i proletari rivoluzionari, lo Übermensch era un Superuomo. Una volta bastonati e resi innocui i proletari, quando si tratta di sciogliere e distruggere gli ultimi resti dell'eticità borghese hegeliana, lo Übermensch può diventare un innocuo ed educato Oltreuomo. È questa la chiave storica per affrontare il segreto di Nietzsche. (p. 96)
  • Non c'è nulla di più sbagliato e fuorviante del pensare che Nietzsche abbia incarnato la risposta antropologica borghese (o addirittura piccolo-borghese) alla soluzione antropologica di Marx, definita proletaria. La soluzione antropologica che Nietzsche propone è invece consapevolmente post-borghese, perché dissolve tutti i precedenti "contenuti etici" della società borghese stessa. [...] Quella di Nietzsche è un'etica della valorizzazione onnilaterale dell'individuo, e nello stesso tempo un'etica che non ha più come riferimento un'eticità, come quella di Hegel. Nietzsche non ha più come punto di riferimento un'eticità, perché la sua proclamazione della morte di Dio è anche una proclamazione del venir meno di qualunque eticità borghese o proletaria. La sua è un'etica dell'individuo, o meglio dello stadio maturo (troppo maturo) dell'individualità moderna. (pp. 90-91)

L'educazione filosofica

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  • La virtuale eclissi della discussione sui contenuti dell'insegnamento, sostituita da un asfissiante fuoco d'artificio su metodologie, obiettivi, profili ed altra irrilevante cartaccia politico-sindacale, [...] rimanda alla grande ipotesi filosofica di Martin Heidegger sulla progressiva dissoluzione e trasformazione della tradizione metafisica occidentale in tecnica planetaria. Il carattere anonimo, impersonale ed autoriproduttivo della tecnica planetaria è effettivamente indifferente ai contenuti culturali che lo accompagnano, contenuti culturali creati, elaborati e discussi in una precedente epoca storica di tipo "metafisico". In questo senso, l'attuale tendenza a trasformare lo stesso Internet da rete di comunicazione agile e veloce (cosa che indiscutibilmente è) in una sorta di orizzonte culturale nuovo ed epocale in sé, che caratterizzerebbe un'intera epoca storia avveniristica lasciandosi alle spalle il vecchio ciarpame librario, deve essere considerata come un segnale significativo. I pedagogisti pazzi, i politici superficiali ed i sindacalisti ciarloni che ritengono forse di essere i soggetti consapevoli e progettuali di queste riforme scolastiche non immagina neppure, anche (ma non solo) per carenza di educazione filosofica, di non essere che gli oggetti inanimati di una trasformazione epocale che non riescono neppure a capire. Sarebbe bene che Umberto Galimberti o Emanuele Severino gliela spiegassero, perché al di sotto di questi nomi "supernoti" essi non darebbero certo ascolto a nessuno. (p. 142)
  • Se è vero che l'esperienza di massa del comunismo dà luogo alla ricerca della diseguaglianza, e l'esperienza di massa del capitalismo va in direzione della rinuncia della libertà, sarà necessario che una filosofia degna di questo nome si interroghi su questo (apparente?) paradosso. Forse entrambe le due "metà" erano false, e si tratta di cominciare a ricomporre un intero credibile. (p. 156)
  • Siamo in un momento storico ben diverso da quello dell'Illuminismo. In quel periodo gli intellettuali c'erano, ed erano nella loro stragrande maggioranza critici del potere e della sua legittimazione (religiosa). Oggi la situazione è invertita. Gli intellettuali sono completamente a fianco del potere e della sua nuova quadruplice legittimazione (tecnica, oligarchica, crematistica, nichilistica). Di qui bisogna partire. (p. 129)

Lettera sull'umanesimo

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Ho passato un periodo di almeno quindici anni della mia vita in cui mi dichiaravo filosoficamente "anti-umanista", perché pensavo erroneamente in questo modo di essere meno "borghese" (identificando il pensiero di Hegel con la borghesia, ed identificando poi la borghesia con il capitalismo, ed infine pensando il capitalismo come un tram condotto da un tranviere chiamato "borghesia"), e quindi più "proletario" (non c'è stato niente di peggio per la mia generazione di questa sciagurata ed infondata proiezione metamorfico-poietica).

Citazioni

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  • La definizione di un concetto (in questo caso, il concetto di verità) deve necessariamente partire dalla sua genesi storica (Vico), e solo in questo modo può essere correttamente inteso. Quando Vico enunciò il famoso principio dell'identità concettuale fra verità e storia (verum ipsum factum) non intendeva affatto disprezzare i successi della fisica cartesiana e newtoniana, come se intendesse assimilarli alla lettura dei tarocchi per prevedere il futuro, ma intendeva invece enunciare un principio estremamente razionale, e cioè che il concetto di verità deve essere limitato al solo significato globale dell'esperienza umana collettiva e comunitaria nella storia. La verità è quindi la totalità concettuale dell'esperienza umana, indagata sia dal lato della sua genesi storica (in tedesco Genesis), sia dal lato della sua validità transtemporale, e cioè un certo senso eterna, nel senso di eterna fino alla permanenza della razza umana e del sistema solare (in tedesco Geltung). (p. 19)
  • Il concetto di natura umana è pienamente legittimo, ed è anche filosoficamente fondativo. Esso è ad un tempo biologico, storico e sociale. In quanto storico e sociale, esso è certamente "influenzato" da fattori storici e sociali (educazione, rapporti sociali classisti, manipolazione, ecc.), ma non si riduce ad essi. (p. 53)
  • Le interpretazioni errate di Hegel sono numerose come i funghi spuntati dopo la pioggia, ma i due funghi più velenosi sono quelli di Hegel teorico della fine della storia (e per di più con un atto di narcisistica follia della fine della fine della storia con se stesso – neppure Nerone e Berlusconi potevano pensare una cosa del genere, figuriamoci il più grande filosofo dei tempi moderni!), e poi di Hegel come giustificatore di tutto ciò che accade in quanto, se accade realmente, deve per forza essere razionale. Hegel teorico della fine della storia (con lui stesso) e Hegel teorico del fatto che tutto ciò che avviene (Hiroshima, Auschwitz, ecc.) è anche necessariamente razionale sono due immagini socialmente necessarie per la diffamazione di un pensatore che poteva anche ai suoi tempi avere giustificato lo stato prussiano, ma che oggi esprime un pensiero del tutto incompatibile con la giustificazione del moderno capitalismo. (p. 90)
  • Il genio del Martellatore Baffuto sta in ciò, che la sua negazione del concetto di verità, ridotta a funzione energetica della volontà di potenza del soggetto, si adatta sia a Destra (tipo Divisione SS Nibelungen in azione contro Sottouomini slavi, ebrei, negri, zingari ed altra feccia biologica) sia a Sinistra (tipo intellettuali postmoderni pacifici e tranquilli, ma preoccupati – talora peraltro ingiustamente – che il concetto di verità non gli venga brandito contro per colpevolizzare o addirittura impedire le loro ultralegittime scelte di condotta di vita privata). Questo doppio uso di Nietzsche, vero e proprio elettrodomestico filosofico multiuso, deve essere messo al centro della riflessione, perché determina fortemente il clima filosofico contemporaneo ancor più del pur pittoresco positivismo, che vorrebbe ridurre tutto a trattori ed acceleratori di particelle, ma non può farlo, perché l'uomo è anche un animale simbolico (Cassirer), e non può soltanto aggirarsi fra provette fumanti e vetrini da ricercatore. (p. 135)
  • Hegel rivendica alla filosofia il diritto-dovere di giudicare filosoficamente la politica. Ed è per questo che Hegel è tanto odiato. Hegel non è odiato perché ha diverse opinioni ontologiche e gnoseologiche rispetto a Locke o a Kant. Questo lo sanno in tutto il mondo soltanto alcune migliaia di specialisti in storia della filosofia. Hegel è odiato perché chi lo ha capito non può più fare a meno di giudicare la totalità politica in cui vive. Ma questo è insopportabile per le oligarchie economiche della smisuratezza capitalistica, che rivendicano a sé l'intera sovranità sulla riproduzione sociale, e sono disposte a delegarne soltanto una piccola parte al ceto degli economisti (liberalismo assoluto, ma salvare le banche con l'intervento statale quando ce n'è bisogno), al ceto dei politici (basta con le utopie, occupiamoci di cose concrete), al ceto dei giornalisti (abbasso il terrorismo, viva i diritti umani), e in fondo alla cosa al ceto dei professori universitari di filosofia (siamo ormai in un'epoca di disincanto del mondo, abbasso la Sindrome di Siracusa, non ci resta che la citatologia per entrare di ruolo). Questa catena di Sant'Antonio si spezza, se il signor Hegel ci mette la mano. (pp. 184-185)

Verità e relativismo

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  • Ho deciso di non nascondere mai le mie personali opinioni sotto l'abituale travestimento retorico della cosiddetta "oggettività" o della semplice esposizione neutrale delle opinioni e delle diverse posizioni storiche e filosofiche. (p. 2)
  • L'oggettività, o presunta tale, coincide con l'esplicitazione onesta e veridica delle proprie premesse di valore e delle conclusioni che sono state tratte. Questa esplicitazione, a sua volta, è la premessa per un dialogo onesto. Considero dialoghi "onesti" quelli veritativi ed anche quelli procedurali, mentre non mi interessano i dialoghi spettacolari. (p. 3)
  • Tutte indifferentemente le specie vegetali ed animali evolvono, ma l'evoluzione umana ha un carattere storico, e nella storia l'uomo trova la sua verità. (p. 11)
  • La concezione della verità come funzione della riproduzione comunitaria resta dunque più o meno la stessa sia nelle società preistoriche che nella polis di Atene. La novità sta però in ciò, che essa è ormai l'oggetto di un dialogo tendenzialmente "democratico", perché in potenza estesa a tutti. (p. 24)
  • La percezione simultanea dell'unione dialettica di Assoluto e di Relativo, infatti, non è in alcun modo "relativismo". Il Relativismo è invece il distacco arbitrario ed artificiale dall'unità essenziale di Assoluto e di Relativo (che sono dialettici nel senso che formano un'unità di opposti in correlazione essenziale che non possono stare da soli se non con un'astrazione artificiale e provvisoria), per cui Assoluto e Relativo, staccati l'uno dall'altro, vengono considerati separatamente come se ognuno di loro fosse originario. In modo paradossale [...] la principale e più pericolosa forma di Relativismo è proprio l'Assolutismo dogmatico, che stacca l'assoluto dalle sue forme di esistenza ed in questo modo, credendo di adorarlo, lo relativizza alla propria narcisistica coscienza ed alla propria indebita pretesa di assolutezza. (p. 40)
  • La forma più pericolosa ed inaccettabile di ateismo non consiste nell'affermare che Dio non esiste, ma nel credersi Dio. L'ateismo di Stalin o di Mao è uno scherzetto rispetto all'ateismo di Bush o di Bin Laden, che si sono installati nella divinità e parlano a suo nome. (p. 40)
  • La migliore definizione di relativismo è quella di Assolutizzazione Unilaterale di uno dei due poli (in correlazione essenziale) di Assoluto e di Relativo (p. 40)
  • Esiste una specifica verità religiosa, ed essa consiste nella consapevolezza piena, ad un tempo individuale e sociale, della dipendenza dalla natura e dalla cooperazione comunitaria. In quest'ottica il contrario del vero, e cioè il falso, consiste nell'illusione individualistica dell'indipendenza del singolo, concepito come originario, sia dalla natura che dalla cooperazione comunitaria. (p. 53)

Citazioni su Costanzo Preve

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  • Costanzo Preve è, a mio avviso, uno dei filosofi più importanti, e meno riconosciuti come tali, del nostro tempo. (Luca Grecchi)[14]
  • Costanzo Preve è stato un intellettuale, io penso un grande intellettuale, che ha sviluppato un percorso di ricerca autonomo quanto controverso. Preve è stato amato ed odiato, non ha mai lasciato indifferente. [...] L'elaborazione di Preve è stata guidata da una ricerca non banale della "verità" al di la e al di fuori di ogni convenzione di bon ton di sinistra. (Paolo Ferrero)
  • È possibile ricostruire un marxismo nel silenzio? Costanzo Preve ci prova. E su questa via si impone un compito molto ambizioso: sottrarre la filosofia del materialismo storico — sono parole sue — alla doppia impasse dei marxismi orientale e occidentale, chiusi entrambi nell'accettazione del socialismo reale (il primo) e del capitalismo reale (il secondo) come "orizzonti intrascendibili". Un compito che lo porta a gettare a mare buona parte dei fondamenti ideologici del marxismo novecentesco, ripercorrendo a ritroso quasi un secolo e mezzo alla ricerca del filo perduto tra le diverse avventure dei marxismi. E a rischiare, nel contempo, il confronto con gli altri — con i "pensatori epocali" come Weber e Heidegger, che seppero pensare radicalmente la modernità. (Marco Revelli)
  • Filosofo di profonda, rigorosa e severa formazione, è d'altro canto cittadino che sa bene quanto il coraggio civico, lungi dall'essere una virtù, sia semplicemente un dovere; e che lo studio non può mai essere un alibi per nasconderci in ben curati giardinetti interiori mentre, intorno a noi, si scatenano il ferro e il fuoco. (Franco Cardini)
  • Ha preferito il lavoro teorico alla visibilità e il confronto con chi non la pensava come lui alla fama. (Simone Paliaga)[15]
  • L'impossibilità di definirlo, infine, ha fatto sì che venisse ignorato dal mainstream mediatico. (Valerio Goletti)[16]
  • Nella verità filosofica Costanzo credeva profondamente: per lui, la filosofia era una pratica veritativa legata alla dimensione storica e sociale. Il suo pensiero, per chi vorrà approfondirlo, è un grandioso tentativo di coniugare Hegel con Marx, ossia una critica radicale della società frammentata con l'esigenza veritativa della filosofia come ricerca di una sintesi sociale comunitaria degna dell'uomo come zoon logon echon, ossia come animale dotato di ragione, di linguaggio e di giusto calcolo delle proporzioni sociali. (Diego Fusaro)
  • Preve, marxista irregolare isolato e criticato dalla sinistra, lontano dalla politica dai primi anni Novanta dopo un intenso periodo di militanza, apprezzato e studiato oggi dagli ambienti della destra antiglobalista, aveva compiuto in piena libertà un percorso che l'aveva trasformato in profondità anche sul piano spirituale. (Valerio Goletti)[16]
  • Un uomo rigoroso ed intransigente soprattutto verso se stesso, che concepiva la filosofia come una etica e non come una esibizione di pensiero e che non mirava a piacere ad ogni costo. (Antonello Cresti)[17]

Bibliografia

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  • Costanzo Preve, Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli, 2006. ISBN 9788889015506
  • Costanzo Preve, Elogio della filosofia, Petite Plaisance (pubblicato su Koinè, Anno X N°1 – gennaio 2003).
  • Costanzo Preve, I Secoli Difficili. Introduzione dal pensiero filosofico dell'Ottocento e del Novecento, C.R.T., Pistoia, 1999. ISBN 9788887296327
  • Costanzo Preve, Individui liberati, comunità solidali, C.R.T., Pistoia, 1998. ISBN 9788887296167
  • Costanzo Preve, L'educazione filosofica. Memoria del passato, compito del presente, sfida del futuro, C.R.T., Pistoia, 2000. ISBN 9788887296730
  • Costanzo Preve, Lettera sull'Umanesimo, Petite Plaisance, Pistoia, 2012. Prefazione di Luca Grecchi, postfazione di Giacomo Pezzano. ISBN 9788875880668
  • Costanzo Preve, Nichilismo Verità Storia. Un manifesto filosofico della fine del XX secolo, C.R.T., Pistoia, 1997. ISBN 9788887296006
  • Costanzo Preve, Storia critica del marxismo, La Città del Sole, Napoli, 2007. ISBN 9788882923440
  • Costanzo Preve, Un secolo di marxismo. Idee e ideologie, C.R.T., Pistoia, 2003. ISBN 9788888172293
  • Costanzo Preve, Verità filosofica e critica sociale. Religione, filosofia, marxismo, C.R.T., Pistoia, 2004. ISBN 9788888172224
  • Costanzo Preve, Verità e relativismo. Religione, scienza, filosofia e politica nell'epoca della globalizzazione, Alpina, Torino, 2006. ISBN 9788890247033

Note

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  1. a b c Da Intellettuali e cultura politica nell'Italia di fine secolo, Rivista Indipendenza n.° 3 (Nuova Serie), novembre 1997/Febbraio 1998.
  2. Da La demenza generalizzata del popolo italiano, Arianna Editrice, dicembre 2011.
  3. Da Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi, Comunismo e Comunità, giugno 2009.
  4. Da Comunismo fra Idea e Storia, Arianna Editrice, 2011.
  5. Da Monti: la mutazione antropologica degli italiani, Arianna Editrice, marzo 2012.
  6. a b c Da La crisi culturale della terza età del capitalismo. Dominanti e dominati nel tempo della crisi del senso e della prospettiva storica, Petite Plaisance, 2010.
  7. Da Intervista politico filosofica a Costanzo Preve, ripensaremarx.it.
  8. Da Il futuro della filosofia e l'eterno presente nichilista, Italicum, 2010.
  9. Da Marx e Nietzsche, Petite Plaisance, 2004, p. 33 e 41.
  10. Da Gli Usa, l’Occidente, la Destra, la Sinistra, il fascismo ed il comunismo. Problemi del profilo culturale di un movimento di resistenza all’Impero americano, Noctua Edizioni, 2003.
  11. Dall'intervista di Franco Romanò, Apriamo i sigilli, Petite Plaisance, Torino, 2009.
  12. Da La fusione del circo mediatico, dei ceti politici e degli apparati ideologici universitari, Arianna Editrice – Il Ponte, ottobre 2008.
  13. Da Il politicamente corretto e l'occidentalismo imperiale, Arianna Editrice, aprile 2012.
  14. Luca Grecchi, dalla Prefazione a Lettera sull'Umanesimo, p. 5.
  15. Simone Paliaga, La scomparsa di Costanzo Preve. Il pensatore marxista che avrebbe votato Le Pen, dal quotidiano Libero, pagina 31, 24 novembre 2013.
  16. a b Valerio Goletti, da È morto a Torino il filosofo “irregolare” Costanzo Preve: il suo percorso da Marx alla critica all'euro, Il Secolo d'Italia 23 novembre 2013.
  17. Antonello Cresti, da Il marxismo in solitudine di un eretico, Il manifesto, 26 novembre 2013.

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