Pitteo
Pitteo | |
---|---|
Nome orig. | Πιτθεύς |
Caratteristiche immaginarie | |
Specie | umana |
Sesso | Maschio |
Luogo di nascita | Elide |
Professione | Re di Trezene |
Nella mitologia greca Pitteo in greco antico: Πιτθεύς? era uno dei figli di Pelope ed Ippodamia. Salì al trono dopo Trezene nell'omonima città, e lì fece costruire il più antico tempio greco dedicato ad Apollo Tearco.
Mitologia
[modifica | modifica wikitesto]Era considerato un uomo molto saggio, infatti troviamo in Euripide il raccondo di come riuscì ad interpretare un oscuro responso che l'Oracolo Pizia comunicò a Egeo: l'oracolo prevedeva un futuro da eroe per il figlio[1][2] Il significato di quella profezia fu presa in seria considerazione da Pitteo e pare che decise di stordirlo con l'alcol per farlo unire con la figlia Etra, la quale la stessa notte si unì al Dio del Mare Poseidone.
Da quell'unione nacque Teseo, il futuro re di Atene. Pitteo quindi tenne con sé il nipote e lo educò fino all'età di 16 anni, avvicinandolo alla Ginnastica e alla Musica[3].
Quando Teseo crebbe, ebbe un figlio dall'amazzone Antiope chiamato Ippolito, che mandò a vivere con Pitteo. Egli lo riconobbe come figlio e di conseguenza come erede al trono di Trezene
Il fratello di Pitteo, Atreo, ebbe tre figli di cui due furono i famosi Agamennone e Menelao.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Carlo Antonio Venzon, Dizionario universale della lingua italiana, Tomo VI, pag. 293, Palermo, Tipografia Demetrio Barcellona, 1840
- ^ Le vite degli uomini illustri, Plutarco, traduzione e commenti di Andrè Dacier e Gerolamo Pompei, Volume I, pagg. 69-70, Milano, 1816| il testo riporta le paraole della Pizia: Non scior de l'otre il piè che pende in fuori,/o sovra tutti valoroso e chiaro,/ pria d'esser giunto al popolo di Atene
- ^ Plutarco, Vita di Teseo, III
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Michelangelo Giusta, Il testo dell'Ippolito di Euripide. Congetture e croci, Firenze, Le Lettere, 1998, ISBN 9788871663708.
Fonti antiche
[modifica | modifica wikitesto]- Ovidio, Metamorfosi VIII, 622